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Setti tra modelli da seguire e sogni nel cassetto

di Hellas Live

Pubblicato il : 7 Novembre 2014 - 11:19

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Il presidente dell'Hellas Verona FC, Maurizio Setti, si racconta al Corriere dello Sport. - Non sta a me dire se è un modello, è nato tutto creando una società con persone nel posto giusto. Dentro c’è la mia voglia di fare l’imprenditore, controllare sempre i numeri. Il primo anno di B ho giocato pesante, sapendo che volevamo andare assolutamente in A e ci siamo riusciti. La nostra grande scommessa è sviluppare il brand - spiega - E’ vero, vendono molte maglie e non se lo aspettavano. Verona come possibilità di internazionalizzare un brand, è una città molto forte, somiglia a Roma. Il calcio italiano? Una situazione pietosa. Cosa cambierei? L’organizzazione della Lega, non stiamo pubblicizzando il nostro marchio nel mondo. Poi obbligherei le società a investire nei settori giovanili. E poi farei le infrastrutture. Sogliano? Mai avuto paura di perderlo. L’ho voluto al Carpi, poi volevo portarlo al Bologna. Quando venne da me a Verona aveva già un accordo con un’altra società e l’ha strappato. E’ nato un rapporto molto serio. Quando l’hanno cercato, gli ho detto, fammelo sapere prima e lui mi ha detto che mi avrebbe avvertito per tempo. Sogliano non vive il calcio per arricchirsi o farsi conoscere: fa calcio perché gli piace, rinchiudersi in gabbia non lo avrebbe esaltato. Se lui mi dice questo è il giocatore si prende e basta: certo, deve solo dirci prima quanto costa…-. Gli obiettivi? A parte il risultato sportivo, è di provare a dare fastidio alle grandi: un anno magari vinci in casa della Juve e del Napoli, un altro in casa dell’Inter. Certo, se poi una volta ti succede come al Torino e vai in Europa, va bene: ma senza fare il passo più lungo della gamba. Oppure riesci ad andare avanti in Coppa Italia… C’è un’altra cosa: tirare fuori ragazzi giovani, sono loro la forza economica. La cosa bella è vedere Jorginho e Iturbe ai quali puoi aver cambiato la vita e loro non se lo dimenticano. La trattativa per Iturbe? Ero presente al momento decisivo. Penso che siano i numeri uno, e sono animati entrambi da un’onestà unica. Io ero sceso per ottenere qualcosa in più e abbiamo trovato un accordo: non c’era astio, c’era voglia di fare per il bene di tutti. La Roma ha chiuso Iturbe in poco tempo. La Juve era davanti, poi per cose loro hanno frenato. A onor del vero Sabatini era stato il primo a informarsi sette-otto mesi prima dell’affondo. Era sparito, è tornato in extremis…. Un modello? Il Borussia Dortmund, dieci anni fa era fallito, poi hanno vinto. Non è il Bayern, che ha una potenza. Sono stati capaci di vincere, hanno avuto il coraggio di prendere Immobile e farlo giocare e invece noi l’abbiamo dato via. Ma possibile che in Italia i giovani li faccia giocare solo Zeman? Anche noi ne abbiamo ma state sicuri che tra un ragazzo e uno esperto anche il mio allenatore mette il più esperto. E infatti Donsah, che è nostro, lo ha voluto Zeman: e lì gioca e fa anche bene. Il nuovo Iturbe? Nico Lopez è un grandissimo talento. E’ della Roma, il riscatto è molto alto, vedremo. Ionita invece è una certezza, è forte fisicamente, parla cinque lingue, destro, sinistro, una grandissima spinta. E poi Tachtsidis lo conoscono tutti, ci sono Martic, Campanharo che a due piedi paragonabili a quelli di Nenè, tecnicamente il migliore anche se ne parlano in pochi. Tifoso di… -La Juventus. Non mi sono vergognato mai di essere tifoso bianconero per le vicende arbitrali: ma vi dico anche che quando Sacchi cominciò a far giocare quel Milan lì, io guardavo in tv loro e non la Juve che vinceva 1-0 con Trap. La prima volta che parlai con Andrea Agnelli per rompere il ghiaccio gli dissi subito -guarda che io non ho studiato a Oxford…- Un sogno nel cassetto? Se parliamo di sogni a me piacciono i centravanti e in quel ruolo Lewandowski un giorno sarebbe un gran bel sogno-.
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